“Immuni”, le perplessità del Garante della privacy

Antonello Soro: “Senza tamponi la app è inefficace”. Sulla privacy: “Non possiamo accettare che la tecnologia per tracciare contatti di prossimità sia utilizzata anche per altre finalità”
Negli ultimi giorni sta tenendo banco il dibattito sulla app “Immuni”, scelta dal governo allo scopo di tracciare i movimenti delle persone nella cosiddetta Fase 2 dell’emergenza Covid-19, che avrà inizio dal 4 maggio prossimo. L’applicazione potrà essere scaricata gratuitamente e senza obbligo, proprio per rispettare la libertà personale (e la privacy) delle persone. Ma è proprio la non obbligatorietà dell’utilizzo dell’app (ma non solo questo) che sta facendo nascere qualche dubbio sulla sua reale efficacia. Secondo alcuni addetti ai lavori, infatti, per far sì che l’app sia incisiva, servirebbe una adesione del 60 per cento della popolazione, mentre c’è chi è convinto che sia necessaria una adesione del 99 per cento, cosa che, tra l’altro, sarebbe impossibile anche se l’applicazione diventasse obbligatoria.
Sulla vicenda è intervenuto anche il Garante della privacy italiano Antonello Soro che nel corso di una intervista a Radio Capital ha affermato che “nessuno può illudersi che basterà tracciare i contatti. Serve poi il test diagnostico. Se non si fanno i tamponi immediatamente dopo aver individuato gli infetti, la app è inutile”.
“Perché sia raggiunta una percentuale molto alta di adesione – ha dichiarato sempre Soro – deve esserci la fiducia in questo sistema, non può esserci improvvisazione da parte delle Regioni, dei Comuni o province”. Inoltre, per quanto riguarda la mappatura dei contagiati, secondo il Garante privacy occorre che “questa tecnologia sia diffusa nel Paese e che ce ne sia una, gestita in una regia dell’autorità pubblica che sia in grado di essere molto trasparente e controllabile”.
Sul diritto alla privacy delle persone, il Garante sembra avere le idee molto chiare. “Il diritto alla privacy è un diritto di libertà – ha evidenziato – può subire delle limitazioni, ma devono essere proporzionate. Non possiamo accettare che la tecnologia per tracciare contatti di prossimità sia utilizzata anche per altre finalità, dal diario clinico della famiglia all’autocertificazione. Facciamo le misure essenziali, quelle meno invasive, sapendo che un’invasività c’è sempre. Questi dati devono rimanere nella disponibilità del dispositivo fino a quando non si verifichino le condizioni per cui c’è un’individuazione a ritroso dei contatti, devono essere gestiti da un’autorità pubblica, trasparente e controllabile, devono essere utilizzati esclusivamente per la finalità di cui parliamo e, una volta esaurito il ciclo virtuoso della mappatura dei contatti nel periodo utile, vanno cancellati”.
FONTI:
garanteprivacy.it;
key4biz.it
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